Posts Written By Michela Fregona

Giulio Mozzi: l’Oracolo manuale.

Insegnare senza far percepire fatica, si sa, è una faccenda piuttosto complicata. Insegnare con leggerezza lo è ancora di più. Ma insegnare riuscendo anche a strappare un sorriso: beh, questa è cosa in cui davvero pochi riescono.

Quando per di più si voglia far passare la materia con puntiglio, precisione, e per scritto – cioè: senza la quadrimensionalità di un rapporto umano in presenza, ma affidandosi alla nuda carta – l’unica è raccomandarsi a qualche divinità superiore.

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Esiste.

La prima campanella di quest’anno scolastico è diversa da tutte quelle che l’hanno preceduta.
Ogni prima campanella è stata per me speciale, ma questa – beh, ha un batticuore in più.
Oggi esce in distribuzione il mio primo romanzo, La classe degli altri, pubblicato da Apogeo editore.

Sono emozionata.
E grata.

(tutte le info, sulla pagina in menù)

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Policoro. Un orso, una dea.

Policoro, Museo della Siritide. 
Nulla è mai (solo) quello che sembra. 
Un osso è stato una vita, un frammento è stato un vaso, un muro è stato una casa. 
Bisogna avere la pazienza di ricollocare tutto, pezzo per pezzo, profondità per superficie.

La comprensione è un esercizio di minimi movimenti: silenzio, ascolto, 
riprogrammazione di varianti e apertura di nuove intuizioni.
La distanza è una prova per l’umiltà. 
Non esiste approssimazione senza studio.

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Come.

“Come si può combattere un nemico che è del tutto irrazionale e imprevedibile – e che però, in virtù della sua forza animalesca e delle circostanze, ha conseguito un potere spaventoso?” 
John Williams, Augustus

(nella foto: particolare da pavimento. Museo Archeologico Nazionale di Taranto – MARTA)

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Da una panchina all’abisso.

…e pensare che è cominciato tutto dalle panchine. 
Bisogna impedire ai poveretti di dormirci, disse qualcuno nel profondo Veneto (perchè i poveretti, si sa, vederseli in giro fa sempre un certo che). E si cominció a tirare il capitone dalla coda. Lentamente. Passo dopo passo. All’indietro, dalle profondità degli abissi dove era stato spedito solo qualche decennio prima – fino alla luce. 
Segare le panchine perchè i disgraziati non ci si potessero stravaccare (raffinato, in fondo, il ragionamento: togliere. fine. via tutti. eradere. rauss. piallare. 
Non: aiutare 
Non: risolvere 
Non: comprendere 
Non: rispettare). 
E così fu che ci abituammo all’ordine: un solo culo per seduta, un solo gomito per bracciolo, un solo zaino per spalliera. Limitrofi, ma addomesticati alla separazione omeopatica – lì, dove prima e culi e ginocchia e braccia distese di bambino e valigie messe in pizzo e dammi un pezzo di angolo e dai che se ci stiamo in tre si sta pure in quattro. 
Cominció così, e in pochi si resero conto che nello spuntare dal nulla di un semplice poggiagomito si realizzava una delle più oculate spallate all’umanità.
(Poi furono: il cibo per i bambini alle mense, i posti nelle case popolari, i proiettili sparati a vanvera, le pagelle cucite sulle giacche annegate, i porti chiusi).

(Ma tutto questo, in fondo, era già contenuto in quel primo atto di guerra civile. Cancellare gli ultimi. Cancellare gli altri. Cancellare).

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Borges e il tango: un disamore senza fine.

Non ci fosse il nome di Jorge Luis Borges, dietro la storia de Il tango, pubblicato nella Piccola Biblioteca Adelphi, si potrebbe pensare a una catena di coincidenze creata ad arte, poiché sono davvero rari i casi di ostinazione alla sopravvivenza come quella manifestata dal corpus di registrazioni che ha attraversato mezzo secolo, due continenti, almeno quattro abitazioni private e svariati proprietari prima di diventare quello che è ora materia pubblica di carta, riflessione e studio.

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