Parlo con le sedie.
E accorcio le distanze.
Solo questo mi resta da
fare, ora.
Parlo con le sedie.
E accorcio le distanze.
Solo questo mi resta da
fare, ora.
C’è una parola precisa per indicare, nel gergo del tango, quel personaggio che ha più velleità che lavoro, più illusioni che prospettive, più inerzia che reazione: quel termine è atorrante. Il nome di chi, nonostante gli sforzi, non ce l’ha fatta, e si ritrova a penare da immigrato il proprio destino: l’epiteto che circoscrive un crinale di povertà facilissimo da imboccare per masse inurbate, che campano da perdigiorno, ostaggio di crisi ogni due per tre, senza un grande futuro davanti.
Nulla è mai soltanto ciò che appare.
Se c’è un monito che scorre sottotraccia lungo le pagine dell’ultimo romanzo di Giampaolo Simi è proprio questo: un invito all’esitazione. Niente come cedere alle lusinghe dell’apparenza può in effetti rivelarsi tanto ingannevole in un momento storico come questo, in cui la manipolazione del reale e la rappresentazione pubblica del privato sono i canali comunicativi di una società affetta da ansia di semplificazione.
E questo risulta chiaro da subito: perché I giorni del giudizio (Sellerio) – che in esordio, prima ancora del prologo, trascina i suoi lettori dentro il perimetro di un duplice omicidio – sotto le sembianze di un romanzo giallo è anche una riflessione indotta sulla difficoltà di capire davvero ciò che ci accade intorno, ciò che siamo, e persino (e soprattutto) ciò che vediamo.
“La classe degli altri non è soltanto un libro che racconta di scuola dunque, esso può ben dirsi un romanzo della contemporaneità poiché ci consegna l’ésprit du temps che pervade, oggi, il nostro Paese”.
Così Patrizia Tabacchini nel blog La letteratura e noi.
https://www.laletteraturaenoi.it/index.php/il-presente-e-noi/1089-la-classe-degli-altri.html
Una intervista e una recensione di Francesca Visentin.
https://www.pressreader.com/italy/corriere-di-verona/20191211/281870120320501
Novembre, 2019.
Feltre.
Con Libreria Agorà e Banda Larga Caffè.
Presentazione di Sandro Dalla Gasperina.
ph Alberto Bogo
Limitrofo è un parola che nasce meticcia, mezzo latina e mezzo greca, e ingloba dentro di sé i concetti di confine e di nutrimento; per scovarne le origini bisogna risalire fino al Tardo Impero: lì, lungo quella incredibile macchina di inerzia bellica che tra avamposti muri ed empori volanti segnava la fine del territorio di Roma, limitrofe erano le terre intorno al limes, quelle da cui arrivavano cibo e vettovagliamenti per le truppe di stanza.
Conosciuto e sconosciuto, abitante e ospite, autoctono e straniero sono tutte categorie che, in questo spazio, hanno una lettura complessa e una natura labile e stratificata: cosa è l’identità, cosa sono le radici, cosa la lingua, infatti, se già l’aggettivo che definisce il luogo della frontiera contiene in sé, insieme, le idee di mescolanza, vicinanza e nutrimento?
Limitrofo è il luogo di chi assomiglia ma non è identico, di chi si conosce ma non del tutto, di ciò in cui ci si rispecchia ma che mantiene alterità.
Limitrofo è anche il territorio del dubbio possibile: quanto, davvero e in profondità, siamo in grado di comprendere chi ci sta accanto?
“La classe degli altri” ospite della Galleria ColophonArte: la presentazione di Serena Dal Borgo e Maria Turchetto.
(Sì, il pavimento ha retto vent’anni di incontri, di scuola, di amicizie, di allievi, di storie, di scrittura, tutti insieme lassù, in quella sala nel cuore del centro: che grandissima emozione).