Posts Written By Michela Fregona

Jane, la favolosa. Su Graham Swift e “Un giorno di festa”

Jane legge, e soprattutto storie di avventura, che nel 1924 non sono certo letture per signora. Per di più, Jane è una cameriera, ed è orfana. Ma è sveglia e graziosa: per questo il padrone di casa le ha accordato il permesso di servirsi della biblioteca. Così Jane, che tutto ha già perso dalla vita, si procura altri mondi, altri modi di pensare. Nella letteratura, Jane impara che si può osare: così, si approprierà della sua vita.
Breve, intenso e vivido, “Un giorno di festa” è un gioiello di Graham Swift, pubblicato da Neri Pozza con la traduzione di Luca Briasco.

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Caterina Bonvicini: Mediterraneo. Una questione di umanità.

Deve essere chiaro subito: non si esce da queste pagine uguali a come ci si è entrati. Così come accade quando ci si confronta con qualcosa che travalica la nostra capacità di immaginare.
Portarci lì dove non abbiamo cognizione di sostanza, ma solo figura, è il compito dei testi importanti. E quello che Caterina Bonvicini ha scritto per Einaudi, con un saggio e le fotografie di Valerio Nicolosi, è, in tutto e per tutto, un testo importante. Perché Mediterraneo – A bordo delle navi umanitarie si assume un compito faticosissimo: rompere un argine, colmare un vuoto cognitivo, dare sostanza a concetti e azioni. Portare più in là una conoscenza, insomma, con la pratica di una voce che è stata corpo tra corpi, e occhio (spalancato) davanti ad altri occhi (spalancati). 

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Amore di lontano: Griffin&Sabine, la quarta dimensione della scrittura.

Prima di Lost.
Prima che J.J. Abrams, il suo regista, si facesse venire l’idea di un libro che dovesse essere letto in verticale, oltre che in orizzontale – ovvero come una stratigrafia di interpolazioni, e che Doug Dorst diventasse la penna di questa idea, dando materialmente corpo a S. La nave di Teseo.
Prima perfino di quel caso clamoroso che è stato Casa di foglie di Mark Z. Danielewski.

Prima che prendesse consistenza, insomma, quella cosa che viene chiamata letteratura ergodica, ovvero l’esperimento di un romanzo concepito come sfondamento dell’unidirezionalità dell’atto della lettura, che costringe il lettore a interagire con bigliettini, finti documenti, resoconti a mano, ritagli di giornale, perfino tovaglioli da bar scarabocchiati “al volo” e inseriti ad arte tra le pagine: ecco, più di vent’anni prima, tutto questo era già accaduto.

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6 libri per la primavera

Una guida per perdersi (lentamente) a Venezia; la storia di un uomo abitato da voci; una casa che decide di far vivere il proprio tempo a chi la visita; un repertorio di delitti ad alta voce; un romanzo svizzero che sembra Mad Men, ma trent’anni prima; l’avventurosa visita di un seguace del magnetismo in casa di Giulia Beccaria. Cees Nooteboom, Leonardo G. Luccone, Simona Vinci, Giuseppe Paternò Raddusa, Alice Rivaz, Alessandro Zaccuri. Sei consigli di primavera (perché a quelli dell’estate, ancora, ci manca tempo: ma intanto ci prendiamo avanti).

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8 marzo, da leggere a scuola: le vite non raccontate, le voci non sentite. D’Orazio, Chemotti, Coglitore.

I nomi e le voci, per prima cosa.

Così, nella medesima direzione, lavorano il saggio Vite di artiste eccellenti firmato da Costantino D’Orazio per Laterza e Il giogo dei ruoli, primo volume della collana Destini incrociati pubblicata da Il Poligrafo e diretta da Saveria Chemotti (che è anche coautrice, insieme a Mario Coglitore, di questa raccolta di racconti in forma di diciotto dittici illustri).

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Marcoaldi-Montanari, “Il nostro volto”: la storia dell’arte fa educazione. Civica.

L’arte come tessuto connettivo. Lo sconfinamento tra linguaggi come sistema.
Eppure non è solo quello che sembra, il libro che Franco Marcoaldi, poeta e scrittore, e Tomaso Montanari, storico dell’arte e rettore dell’Università per gli stranieri di Siena, firmano per Einaudi: perché cercare di leggere Il nostro volto – Cento ritratti italiani in immagini e versi come un libro di storia dell’arte e della letteratura è un errore.

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Abissi e segreti. “La stazione” di Jacopo De Michelis

Ha buon gioco, Marguerite Yourcenar, quando dice che i fantasmi sono invisibili perché li portiamo in noi.
Ritirati nella periferia della nostra percezione, abbandonato il territorio dell’orrorifico esplicito in favore di un inquietante pervasivo, i fantasmi oggi muovono turbamenti singoli e sensi di colpa collettivi, perturbano la sensazione dei luoghi, emergono da memorie rimosse. E riescono lì dove sono sempre riusciti: agitano l’aria e inducono a correre attraverso gli spazi – anche quando questi siano quelli delle pagine scritte.

Che il loro dispositivo funzioni benissimo anche in contesti in cui il rumore della vita è alto e rimbomba senza sosta lo racconta il debutto narrativo di Jacopo De Michelis, che per Giunti pubblica La stazione, romanzo d’esordio che è, insieme, thriller, storia d’amore e di vendetta, racconto di formazione e d’ambiente, narrazione avventurosa e immaginifica, discesa agli inferi, affresco sociale, lacerto di storia contemporanea.  

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Fantasmi d’amore e d’altro: in classe con Laura Pariani e Nicola Fantini

Che la letteratura del fantastico e del perturbante sia una terra fortemente generativa lo raccontano da tempo, e senza remore, i titoli, gli studi e le pubblicazioni dei due scrittori: in questa prospettiva si può leggere anche l’ultimo romanzo di Laura Pariani, Apriti, mare! pubblicato da La Nave di Teseo (un approfondimento si trova qui).
Peraltro, l’interrogazione dell’ombra (delle tracce che lascia dietro di sé, delle suggestioni, delle bizzarrie a cavallo tra questo mondo e altro) è alla base del ciclo di romanzi pubblicato da Sellerio e inaugurato dal fortunato Nostra Signora degli Scorpioni, in cui i due autori hanno unito la loro capacità immaginativa.

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Bruno Osimo, “Primo Levi, miti d’oggi” – Gabor T. Szántó, “1945”. In nome della Memoria.

La Memoria è una divinità difficile.
Elusiva e necessaria, ci dice il mondo antico: non per niente le rappresentazioni che ne abbiamo sono rare, e in fondo generiche. Dovremmo ricordarci di questa labilità originaria, perché è indicativa di un rapporto complesso, caratterizzato da un mistero di cura legato ai riti di incubazione, alla trasformazione e, in ultima analisi, alla sopravvivenza.

D’altro canto, che il rapporto che la Memoria intrattiene con la parola sia qualcosa di eccezionale, e di generativo, lo rivela la responsabilità primigenia che le compete. Diodoro Siculo (che di faccende divine anche sottili e inusitate se ne intendeva) assicura che fu lei a regalare agli uomini la capacità di dare i nomi alle cose visibili e non visibili; munendo il genere umano, dunque, della possibilità di comunicare – al presente, con il passato e per il futuro.

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